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Procedure pubbliche per i concessionari

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I titolari di concessioni che non siano state affidate conformemente al diritto dell'Unione europea vigente al momento dell’affidamento o della proroga, sono tenuti ad affidare a terzi, mediante procedura ad evidenza pubblica, una quota tra il 50 per cento e il 60 per cento dei contratti di lavori, servizi e forniture. Così l'Anac.

La notizia indicata, ulteriori note e documenti sull'argomento sono disponibili, per i soli Associati, nel menù: Gestione dell'ente-Appalti, Trasparenza e Anticorruzione

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

La ragionevolezza della revoca della gara

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La ragionevolezza della revoca degli atti di gara e i presupposti per il risarcimento del danno, nella sentenza del Consiglio di Stato.

La notizia indicata, ulteriori note e documenti sull'argomento sono disponibili, per i soli Associati, nel menù: Gestione dell'ente-Appalti, Trasparenza e Anticorruzione

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Raccolta dei provvedimenti Anac per l'efficacia del nuovo codice dei contratti

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L'ANAC ha pubblicato una serie di provvedimenti attuativi del nuovo Codice degli appalti pubblici, in vista della sua efficacia.

La notizia indicata, ulteriori note e documenti sull'argomento sono disponibili, per i soli Associati, nel menù: Gestione dell'ente-Appalti, Trasparenza e Anticorruzione

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Il tetto agli idonei nei concorsi

Tetto agli idonei nei concorsi solo su quelli banditi dopo il 22 giugno

Di seguito, riportiamo il testo della nota prot. n. 1187 (499) del 16 giugno 2023 predisposta dal Dipartimento della Funzione Pubblica:
“Oggetto: ambito di applicazione della novella introdotta in sede di conversione del decreto legge n. 44 del 2023, all’articolo 35, comma 5-ter, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165.
Con la nota in riferimento, la Conferenza delle regioni e delle province autonome chiede un approfondimento in ordine all’ambito applicativo della recente novella introdotta dal Parlamento, in sede di conversione del decreto-legge n. 44 del 2023, all’articolo 35, comma 5-ter, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, che limita gli idonei nei concorsi pubblici al solo 20 per cento – rispetto ai posti banditi – dei candidati che si sono collocati dopo l’ultimo dei vincitori di concorso.
Al riguardo si evidenzia, preliminarmente, che tale disposizione è finalizzata a garantire una migliore qualità del personale assunto, e ciò in considerazione del fatto che i candidati collocati in graduatoria in una posizione rientrante nella quota introdotta corrisponde a quelli che hanno conseguito una valutazione finale più vicina al punteggio conseguito dai vincitori del concorso.
Si tratta di una misura che va letta in un’ottica di sistema nel quale gli altri fattori da valutare sono la rapidità delle nuove procedure concorsuali (massimo 180 giorni, così come previsto nel regolamento di modifica al dPR n. 487 del 1994, recentemente approvato in via definitiva dal Consiglio dei ministri), frequenti (il turn over annuale medio è di circa 150.000 unità) e digitalizzate.
Si tratta, pertanto, di un complesso di elementi il cui ‘combinato disposto’ non è latore di criticità, bensì costituisce un elemento di crescita qualitativa – oltre che quantitativa – della pubblica amministrazione.
Tuttavia, la misura in argomento, benché di portata generale, non è applicabile ai reclutamenti disciplinati da misure particolari, quali quelli relativi al personale sanitario, scolastico, universitario, della ricerca dell’Istituto superiore di sanità, come pure – anche se non espressamente indicati– sono da ritenere indubbiamente esclusi dal suo ambito di applicazione anche i reclutamenti del personale in regime pubblicistico.
Si è dunque dell’avviso che la misura, che comunque è destinata a dispiegare i propri effetti sono con riguardo alle graduatorie dei concorsi che saranno banditi dopo l’entrata in vigore della legge di conversione del citato decreto-legge n. 44 del 2023, non si estenda ai
concorsi delle aziende e degli enti del Servizio sanitario nazionale, nonché del personale della ricerca dell’Istituto superiore di sanità”.

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Divieto di monetizzazione delle ferie

Divieto di monetizzazione delle ferie alla prova della Corte Europea

Nella causa C-218/22, l’Avvocato Generale avanti la Corte di Giustizia dell’Unione europea – nella controversia rimessa dal Tribunale di Lecce (contenzioso relativo a dipendenti comunali) per stabilire in che misura la direttiva concernente l’orario di lavoro vieti la monetizzazione delle ferie annuali retribuite, vale a dire la conversione in una somma di denaro di diritti non goduti alle ferie annuali retribuite – ha rassegnato le proprie conclusioni con atto dell’8 giugno 2023 (consultabile a questo link: https://eur-lex.europa.eu/legal-content/IT/TXT/?uri=CELEX:62022CC0218&qid=1686897235793&print=true), dove ha formulato le seguenti conclusioni:
“1) L’articolo 7 della direttiva 2003/88/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 4 novembre 2003, concernente taluni aspetti dell’organizzazione dell’orario di lavoro, non osta a una normativa nazionale che prevede il divieto di monetizzazione delle ferie annuali retribuite non godute al termine del rapporto di lavoro, quando:
– il divieto di richiedere l’indennità finanziaria non riguarda il diritto alle ferie annuali maturate nell’anno di riferimento in cui si ha la cessazione del rapporto di lavoro;
– il lavoratore ha avuto la possibilità di fruire delle ferie annuali retribuite nei precedenti anni di riferimento, anche nel corso del periodo minimo di riporto;
– il datore di lavoro ha incoraggiato il lavoratore a fruire delle ferie annuali retribuite;
– il datore di lavoro ha informato il lavoratore che le ferie annuali retribuite non godute non possono essere cumulate per essere sostituite da un’indennità finanziaria al momento della cessazione del rapporto di lavoro.
2) L’articolo 7, paragrafo 2, della direttiva 2003/88
impone che il datore di lavoro dimostri che ha posto il lavoratore in condizione di fruire delle ferie, che lo ha incoraggiato in tal senso, che lo ha informato dell’impossibilità di una monetizzazione al momento della cessazione del rapporto di lavoro e che, ciò nonostante, il lavoratore ha scelto di non fruire delle ferie annuali.
Qualora il datore di lavoro non lo abbia fatto, il lavoratore dovrebbe essere risarcito”.

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La riduzione della compagine RTI

Consiglio di Stato: alla Corte di Giustizia UE le questioni interpretative circa la riduzione della compagine del RTI e circa la cauzione provvisoria

Cons. Stato, sez. V, ordinanza 16 giugno 2023, n. 5950 – Pres. Caringella, Est. Caminiti

 

Unione Europea – Rinvio pregiudiziale alla Corte di Giustizia – Contratti pubblici e obbligazioni della pubblica amministrazione – Raggruppamento temporaneo di imprese – Modifica soggettiva – Esclusione – Cauzione – Escussione – Compatibilità con il diritto UE

 

Sono rimesse alla Corte di giustizia dell’Unione Europea le seguenti questioni pregiudiziali ai sensi dell’art. 267 TFUE:

 

A) “se la direttiva 2004/18/CE, gli artt. 16 e 52 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea, i principi di proporzionalità, concorrenza, libertà di stabilimento e libera prestazione di servizi di cui agli articoli 49, 50, 54 e 56 del TFUE, ostino a norme interne (artt. 11 comma 6, 37 commi 8, 9, 10, 18 e 19, 38, comma 1, lett. f) del d.lgs. 163/2006) che escludono, in caso di scadenza del termine di validità dell’offerta originariamente presentata da un raggruppamento temporaneo di imprese costituendo, la possibilità di ridurre, all’atto dell’estensione della validità temporale della medesima offerta, la originaria compagine del raggruppamento; in particolare, se tali disposizioni nazionali siano compatibili con i principi generali del diritto dell’Unione europea di libera iniziativa economica ed effetto utile, nonché con l’articolo 16 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea”;

 

B) “se la direttiva 2004/18/CE, gli artt. 16, 49, 50 e 52 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea, l’art. 4, Protocollo 7, della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo - CEDU, l’art. 6 del TUE, i principi di proporzionalità, concorrenza, libertà di stabilimento e libera prestazione di servizi di cui agli articoli 49, 50, 54 e 56 del TFUE, ostino a norme interne (artt. 38, comma 1, lett. f), 48 e 75 del d.lgs. n. 163 del 2006) che prevedano l’applicazione della sanzione d’incameramento della cauzione provvisoria, quale conseguenza automatica dell’esclusione di un operatore economico da una procedura di affidamento di un contratto pubblico di servizi, altresì a prescindere dalla circostanza che lo stesso sia o meno risultato aggiudicatario dell’affidamento medesimo”(1).

 

(1) Con riguardo alla prima questione pregiudiziale il Consiglio di Stato ha chiarito che alla stregua delle coordinate ermeneutiche, elaborate nel tempo dalla giurisprudenza amministrativa, l’esclusione del raggruppamento nel suo complesso si profila quale atto dovuto, sia in quanto violativo del principio di immodificabilità del RTI – qualora non sia dimostrata la sussistenza di esigenze organizzative dell’intero raggruppamento a base del recesso esercitato dal singolo operatore aderente al raggruppamento (cui deve equipararsi la mancata conferma dell’offerta all’atto della scadenza della sua vincolatività) – sia laddove il recesso si profili come operato con finalità elusiva, in quanto volto a evitare una sanzione di esclusione della gara per difetto dei requisiti in capo al componente del RTI che viene meno per effetto dell’operazione riduttiva. Peraltro, il combinato disposto degli artt. 11,

 

comma 6, 37, commi 8, 9, 10, 18 e 19 e 38, comma 1, lett. f) d.lgs 163/2006, come interpretati dalla giurisprudenza del Consiglio di Stato, costringendo i componenti del RTI a rimanere vincolati all’offerta presentata per un periodo indefinito di tempo, anche in caso di plurime scadenze della sua vincolatività, in presenza di gare complesse di lunga durata – con la sola possibilità di non conferma dell’offerta da parte di tutti gli originari componenti del RTI – è apparso al Collegio di dubbia compatibilità con il principio di libertà di impresa di cui all’art. 16 della Carta dei diritti Fondamentali dell’Unione Europea secondo cui “è riconosciuta la libertà di impresa, conformemente al diritto dell’unione e alle legislazioni e prassi nazionali” nonché con i principi di proporzionalità di cui all’art. 52 della medesima Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea, nonché di proporzionalità, concorrenza, libertà di stabilimento e libera prestazione di servizi di cui agli articoli 49, 50, 54 e 56 del TFUE.

 

Con riguardo alla seconda questione pregiudiziale il Collegio precisa che in ragione dell’entità e assoluta rilevanza del sacrificio patrimoniale imposto a parte appellante, per la stessa l’escussione delle cauzioni provvisorie verrebbe ad acquisire i connotati di una sanzione cui non può che necessariamente riconoscersi carattere penale, secondo l’accezione cristallizzata nell’interpretazione della Corte EDU: l’automatico incameramento delle garanzie provvisorie, nella vicenda controversa, integrerebbe invero gli estremi di una evidente violazione del principio di proporzionalità delle sanzioni.

 

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