Farmacia comunale : regolamentazione e modalità di gestione
1. Regolamentazione pubblicistica dell’attività economica di rivendita dei farmaci in quanto servizio pubblico di rilevanza economica.
L’assistenza farmaceutica, ai sensi dell’art. 28, comma 1, della Legge n. 833 del 1978 (di istituzione del servizio sanitario nazionale) è erogata dalle aziende sanitarie locali attraverso le farmacie, di cui sono titolari enti pubblici (comuni e aziende ospedaliere) o soggetti privati.
Il servizio farmaceutico va qualificato in termini di servizio pubblico di rilevanza economica secondo quanto rilevato dalla giurisprudenza (ex multis Consiglio di Stato, sez. III, 11 febbraio 2019, n. 992): l’esercizio di una farmacia costituisce pubblico servizio, infatti, così come riconosciuto dall’art. 33 del D. Lgs. n. 80/1998 e, in particolare, va collocato tra i servizi di rilevanza economica (in termini Consiglio di Stato, Sez. V, 15 febbraio 2007, n. 637).
Per Corte Costituzionale 10 ottobre 2006, n. 87, “la complessa regolamentazione pubblicistica dell’attività economica di rivendita dei farmaci è infatti preordinata ad assicurare e controllare l’accesso dei cittadini ai prodotti medicinali ed in tal senso a garantire la tutela del fondamentale diritto alla salute, restando solo marginale, sotto questo profilo, sia il carattere professionale sia l’indubbia natura commerciale dell’attività del farmacista”.
2. Modalità di gestione di una farmacia comunale.
2.1 Forme di gestione previste dall’art. 9 Legge n. 475 del 1968.
Il D.L. 25 settembre 2009, n. 135, come convertito in L. n. 166/2009, ha escluso le farmacie comunali dall’ambito applicativo dell’art. 23-bis D.L. n. 112/2008, convertito in L. n. 133/2008 – esclusione confermata dall’art. 1, c. 3, lett. d), del d.P.R. 7 settembre 2010, n. 168 e poi dall’art. 4, co. 34, del D.L. n. 138/2011 (successivamente inciso dalla sentenza della Corte Costituzionale n. 199/2012) e s.m.i. – stabilendo che le modalità gestionali delle farmacie comunali siano quelle di cui all’art. 9 della L. n. 475/1968, così come modificato dall’art. 10 della L. n. 362/1991 recante “Norme concernenti il servizio farmaceutico”.
Le farmacie pubbliche, dunque, non risultano attratte nella sfera di applicazione delle norme concernenti i servizi pubblici locali.
Il citato articolo 9 L. 475/68 dispone che “la titolarità delle farmacie che si rendono vacanti e di quelle di nuova istituzione a seguito della revisione della pianta organica può essere assunta per la metà dal Comune. Le farmacie di cui sono titolari i comuni possono essere gestite, ai sensi della legge 8 giugno 1990, n. 142, nelle seguenti forme:
a) in economia;
b) a mezzo di azienda speciale;
c) a mezzo di consorzi tra comuni per la gestione delle farmacie di cui sono unici titolari;
d) a mezzo di società di capitali costituite tra il Comune e i farmacisti che, al momento della costituzione della società, prestino servizio presso farmacie di cui il Comune abbia la titolarità. All’atto della costituzione della società cessa di diritto il rapporto di lavoro dipendente tra il Comune e gli anzidetti farmacisti”.
2.2 Forme di gestione del servizio farmaceutico comunale ulteriori rispetto a quelle indicate nell’art. 9 Legge n. 475 del 1968.
La giurisprudenza – da ultimo il parere del Consiglio di Stato n. 687/2022 – si è interrogata più volte sull’ammissibilità di forme di gestione delle farmacie comunali non previste dal citato art. 9 della Legge n. 475 del 1968, poiché, ad esempio, fra le forme di gestione individuate dalla predetta norma speciale non è stato previsto l’affidamento in concessione a terzi.
Sul punto il citato parere del Consiglio di Stato sottolinea che lo stesso legislatore ha previsto forme di gestione del servizio farmaceutico comunale ulteriori rispetto a quelle indicate nell’art. 9 della Legge n. 475 del 1968 che, dunque, non sono tassative.
Ed invero, “non si dubita che la gestione di una farmacia comunale possa essere esercitata da un Comune mediante società di capitali a partecipazione totalitaria pubblica (in house), benché tale modalità non sia stata prevista dal legislatore del 1968 (e del 1991), in coerenza con l’evolversi degli strumenti che l’ordinamento ha assegnato agli enti pubblici per svolgere le funzioni loro assegnate; e non si dubita che la gestione possa essere esercitata, come si è accennato, anche da società miste pubblico/private, con il superamento del limite dettato dall’art. 9 della L. n. 475 del 1968, secondo cui la gestione poteva essere affidata a società solo se costituite tra il Comune e i farmacisti (in termini Consiglio di Stato n. 5587/2014; in senso conforme Consiglio di Stato parere n. 687/2022).
L’affidamento della gestione è peraltro consentito con modalità in house, a patto che il Comune eserciti sulla società un “controllo analogo” a quello che eserciterebbe su proprie strutture organizzative; nel concetto di controllo analogo è peraltro ricompresa la destinazione prevalente dell’attività dell’ente in house in favore dell’amministrazione aggiudicatrice.
È stato altresì chiarito con la stessa pronuncia che “si deve ritenere che un Comune, nel caso in cui non intenda utilizzare per la gestione di una farmacia comunale i sistemi di gestione diretta disciplinati dall’art. 9 della L. n. 475 del 1968, possa utilizzare modalità diverse di gestione anche non dirette; purché l’esercizio della farmacia avvenga nel rispetto delle regole e dei vincoli imposti all’esercente a tutela dell’interesse pubblico”.
In tale contesto, pur non potendosi estendere alle farmacie comunali tutte le regole dettate per i servizi pubblici di rilevanza economica, non può oramai più ritenersi escluso l’affidamento in concessione a terzi della gestione delle farmacie comunali attraverso procedure di evidenza pubblica.
Del resto l’affidamento in concessione a terzi attraverso gare ad evidenza pubblica “costituisce la modalità ordinaria per la scelta di un soggetto diverso dalla stessa amministrazione che intenda svolgere un servizio pubblico”.
Peraltro, si ritiene oggi unanimemente che l’assenza di una norma positiva che autorizzi la dissociazione tra titolarità e gestione non crei un ostacolo insormontabile all’adozione del modello concessorio.
Con riguardo al profilo afferente alla tutela della salute, l’obiettivo del mantenimento in capo al Comune delle proprie prerogative di Ente che persegue fini pubblicistici può essere garantito – in caso di affidamento a terzi – dalle specifiche regole di gara e, più precisamente, dagli obblighi di servizio pubblico da imporre al concessionario, idonei a permettere un controllo costante sull’attività del gestore e di garantire standard adeguati di tutela dei cittadini.
In questo senso, l’impostazione risulta perfettamente in linea con il principio comunitario di proporzionalità, per cui “le restrizioni al regime di piena concorrenza sono effettivamente ammesse nei limiti in cui risulti strettamente necessario con l’obiettivo da perseguire, nella specie, la salvaguardia della salute pubblica e del benessere dei cittadini” (in termini Consiglio di Stato, parere n. 687/2022; cfr. anche T.A.R. Lombardia, Brescia, 1° marzo 2016, n. 309).
In conclusione, sulla base delle norme e della giurisprudenza richiamate, la gestione di una farmacia comunale – da qualificarsi, si ripete, servizio pubblico di rilevanza economica – può essere esercitata dall’ente, oltre che con le forme dirette previste dal citato articolo 9 della L. n. 475 del 1968, sempre in via diretta, anche mediante società di capitali a partecipazione totalitaria pubblica (in house), ovvero può essere affidata in concessione a soggetti estranei al comune previo espletamento di procedure di evidenza pubblica in modo da garantire la concorrenza.
A tale conclusione era giunta anche l’Autorità Nazionale Anticorruzione con deliberazione n. 15 del 23 aprile 2014, nella quale è stato osservato che l’affidamento in concessione a terzi – nel rispetto delle procedure dettate dal D. Lgs. n. 36/2023 – può costituire una delle modalità di gestione delle farmacie comunali, con l’ulteriore precisazione per cui la scelta in ordine alla modalità di gestione del predetto servizio è una decisione di specifica pertinenza dell’amministrazione competente, la quale sola può individuare la forma di gestione, diretta o indiretta, ritenuta maggiormente coerente con gli interessi pubblici sottesi al servizio stesso.
La chiave di volta del sistema, ai sensi del prima citato parere dell’ANAC, “è rappresentato dal fatto che l’oggetto sia predeterminato e non genericamente descritto, poiché altrimenti, è evidente, sarebbe agevole l’aggiramento delle regole pro-competitive a tutela della concorrenza”.
2.3 Approfondimento: criteri di aggiudicazione dei contratti di concessione aventi ad oggetto la gestione di una farmacia comunale.
Per quanto attiene ai criteri di aggiudicazione dei contratti di concessione, il bando di gara deve specificare l’oggetto dell’affidamento, i necessari requisiti di qualificazione generali e speciali di carattere tecnico ed economico-finanziario dei concorrenti, nonché il criterio di aggiudicazione che garantisca una valutazione delle offerte in condizioni di concorrenza effettiva in modo da individuare un vantaggio economico complessivo per l’amministrazione pubblica che ha indetto la procedura.
Ai sensi dell’art. 185 del D.Lgs. n. 36/2023, l’aggiudicazione dei contratti di contratti di concessione avviene sulla base di criteri di aggiudicazione oggettivi, tali da assicurare una valutazione delle offerte in condizioni di concorrenza effettiva in modo da individuare un vantaggio economico complessivo per l’ente concedente.
Come regola generale, si statuisce la necessità che le concessioni siano aggiudicate, ponendo a base di gara almeno un progetto di fattibilità, sulla scorta di criteri oggettivi tali da assicurare una valutazione delle offerte in condizioni di concorrenza effettiva in modo da individuare un vantaggio economico complessivo per l’amministrazione aggiudicatrice o l’ente aggiudicatore.
I criteri di aggiudicazione devono:
garantire la parità di trattamento di tutti i partecipanti;
non essere discriminatori, il che significa che non possono favorire prodotti o imprese locali o nazionali;
essere collegati all’oggetto della concessione;
essere oggettivi e non conferire una libertà incondizionata di scelta all’acquirente pubblico (ad esempio, criteri che si riferiscano alla “soddisfazione dell’amministrazione aggiudicatrice” o che diano la preferenza alle offerte “più accettabili per l’amministrazione aggiudicatrice” non possono essere ammesse);
includere, tra l’altro, criteri ambientali, sociali o relativi all’innovazione;
essere pubblicati in anticipo ed elencati in ordine decrescente di importanza. Questo obbligo di trasparenza permette agli offerenti di preparare bene le loro offerte e impedisce agli acquirenti di adattare i criteri alle offerte ricevute.
Tuttavia, se un acquirente pubblico riceve un’offerta che propone una soluzione innovativa con un livello eccezionale di prestazioni funzionali che non avrebbero potuto essere previste da un acquirente diligente, ai sensi del comma 4 dell’art. 185 del D. Lgs. n. 36/2023, l’ente concedente può modificare la classifica dei criteri di aggiudicazione per tenere conto di questo aspetto. In tal caso, l’acquirente deve garantire la parità di trattamento a tutti gli offerenti, effettivi o potenziali, pubblicando un nuovo invito a presentare offerte, oppure, in alcuni casi, un nuovo avviso di concessione.
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