Scavalco d'eccedenza solo negli enti locali

 

Come noto, l’art. 1, comma 557, della legge 30 dicembre 2004, n. 311 e ss.mm.ii., prevede espressamente l’utilizzo di dipendenti a tempo pieno di “altre amministrazioni locali” da parte dei “comuni con popolazione inferiore ai 25.000 abitanti, dei consorzi tra enti locali gerenti servizi a rilevanza non industriale, delle comunità montane e delle unioni di comuni”, previa autorizzazione dell’amministrazione di provenienza.

Si deve perciò escludere che un ente locale possa legittimamente consentire l’utilizzo di proprio personale anche presso una pubblica amministrazione diversa da quelle indicate (amministrazioni statali o enti pubblici non economici).

È quanto affermato dalla Sezione regionale di controllo della Corte dei conti della Puglia nella recente deliberazione n. 110/2024/PAR.

Ciò, peraltro, precisa la Sezione, potrebbe determinerebbe il verificarsi di situazioni paradossali, in base alle quali, ad esempio, dei dipendenti a tempo pieno di un comune di dimensioni ridotte (e con conseguentemente ridotte disponibilità di bilancio) potrebbero essere utilizzati da “amministrazioni statali o enti pubblici non economici” di grandi dimensioni (e talvolta in surplus di personale), privando – in toto o comunque parzialmente – il piccolo comune di importanti (e fondamentali) risorse umane, solo e soltanto in base all’autorizzazione concessa dall’amministrazione di appartenenza, slegata da qualsivoglia razionale ed obiettiva giustificazione e concessa per altre e differenti motivazioni.

Il Collegio ritiene, pertanto, di adeguarsi al principio in claris non fit interpretatio, in base al quale la formulazione testuale dell’art. 1, comma 557 della legge 30 dicembre 2004, n. 311 e ss.mm.ii. è talmente chiara da precludere la ricerca di una volontà differente, potendo infatti farsi ricorso ad altri canoni interpretativi solo nel caso eccezionale in cui l’effetto giuridico risultante dalla formulazione della legge sia incompatibile con il sistema normativo ovvero nel caso in cui la lettera della norma da interpretare sia ritenuta non chiara o equivocabile, ipotesi che non ricorre nella fattispecie in esame.

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