Il ciclone legislativo sugli enti locali
Cosa resta del ciclone legislativo che per 20 anni si è abbattuto sugli enti locali
Pubblichiamo dalla newsletter del Centro Documentazione e Studi Comuni Italiani in collaborazione con Il Giornale dei Comuni l’editoriale:
COSA RESTA DEL CICLONE LEGISLATIVO CHE PER 20 ANNI SI È ABBATTUTO SUGLI ENTI LOCALI
Marino Massaro
Heri dicebamus... federalismo fiscale. Devolution, verticale o orizzontale, solidale o no. Riforma delle autonomie locali. Senato delle Regioni. Sono state spese centinaia di milioni di parole, scritti centinaia di libri, migliaia di articoli di giornale e riviste specializzate. Ma resta ancora oggi irrisolta una questione dirimente: come finanziare il sistema delle autonomie locali.
Era il 1972 quando la riforma fiscale, nota come riforma Visentini, cancellò quel poco di potere impositivo dei Comuni (l'imposta di famiglia e l'imposta generale sull'entrata), prevedendo - in attesa di un successivo provvedimento legislativo - l'assegnazione agli enti locali (Comuni e Province, le Regioni erano ancora di là a venire) di "trasferimenti erariali sostitutivi dei tributi soppressi".
E adesso, dopo 43 anni dalla riforma Visentini, dopo 24 anni dalla nascita della Lega Nord, che fece del federalismo la sua ragion d'essere e comunque dopo 24 anni dalla legge di riforma delle autonomie locali (la 142/90), siamo ancora al palo.
Alcune riforme sono state attuate, è innegabile. Nel periodo 1990/93 sono state varate le norme sul procedimento amministrativo, sull'elezione diretta dei sindaci, sulla privatizzazione pubblico impiego. Nel 1997 la legge 59 nota come "legge Bassanini" fu presentata come il massimo del federalismo amministrativo realizzabile senza riforma costituzionale. Che venne varata poi nel 2000 con la cosiddetta riforma del Titolo V.
Sarebbe meritorio compiere un onesto controllo sugli effetti del ciclone legislativo abbattutosi in questo lungo periodo su Comuni e Province. Non è questo il luogo. E' tuttavia opportuno invitare forze politiche, amministratori e mondo della cultura almeno ad un momento di riflessione.
Ciò che oggi va posto in evidenza è che ancora una volta con la legge di stabilità 2015 il Governo propone ulteriori forti tagli alle risorse di Comuni, Province e Regioni. Perseverando con ostinazione degna di miglior causa a vedere nelle autonomie locali non una parte fondamentale dell'ordinamento della Repubblica, bensì una dannosa fonte di sperpero di denaro pubblico effettuata da un corpo estraneo alla Repubblica stessa.
I primi tagli ai trasferimenti erariali vennero decisi al termine di quel lungo periodo noto tra gli addetti ai lavori come "regime decretizio", quando cioè tra Governo e autonomie si svolgeva il rito annuale della trattativa sull'entità dei trasferimenti statali e sul loro incremento percentuale.
Ma per risolvere i problemi di bilancio (soprattutto di cassa) dello Stato emersi in quegli anni venne compiuta la più rilevante modifica al regime della finanza locale con l'introduzione dell'Ici, l'assegnazione di importanti cespiti come il "bollo auto" alle Regioni, come l'Ipt alle Province.
Poteva essere l'avvio di una vera stagione di riforme nell'assetto della finanza pubblica complessiva, statale e locale. Proseguire nella strada, percorsa con successo almeno per i primi anni, della perequazione delle dotazioni finanziarie di Comuni e Province, di miglior definizione dei cespiti naturali per ogni livello istituzionale (l'imposta sulle abitazioni ai Comuni, che esiste in quasi tutti i Paesi del mondo; le accise o le tasse commisurare ai servizi erogati per altri livelli e così via).
Invece no. Abbiamo assistito e assistiamo ancora oggi alle parole d'ordine a favore dell'abolizione dell'Ici o dell'Imu, al balletto inverecondo da un punto di vista della logica della scienza della finanza su Tarsu, Tasi, Tari o come si voglia comunque chiamare il contributo economico che ciascun cittadino (privato o impresa) deve dare per finanziare i servizi pubblici di cui gode in forma diretta o indiretta che sia.
Pagare le tasse non è piacevole. Per nessuno. Quando poi le cronache riferiscono di scandalosi sperperi di denaro pubblico e si verifica che la pressione fiscale complessiva sui redditi da lavoro superano la soglia della tollerabilità, anche perché non compensata da un eccelso livello di servizi resi alla collettività (per usare un eufemismo!), appare evidente che i cittadini siano disposti a seguire il pifferaio di turno che suona il motivetto dell'abolizione delle tasse.
Però è il caso di ricordare a tutti - e tra i primi agli amministratori locali onesti (che sono sicuramente la stragrande maggioranza) - che quando non si hanno le risorse, fatalmente i servizi pubblici peggiorano in qualità e quantità. E se la mattina il cittadino non trova l'acqua potabile che sgorga dal rubinetto, scende in strada e attende per molti minuti un mezzo pubblico e nel frattempo vede le strade sporche, il verde pubblico abbandonato alla natura e i marciapiedi disselciati, allora la protesta si trasferisce nelle urne elettorali.
Il che magari è quello su cui contano alcuni.
*Marino Massaro, giornalista ed esperto di finanza locale - da www.anci.it