Discrezionalità e motivazione nel sistema preventivo dell’anticorruzione[1]
Antonino Ripepi e Stefano Maria Vilasi
1. Premessa.
Già in altre sedi (sia consentito il rinvio ad A. Ripepi, Dirigenza pubblica e fiducia: un’analisi integrata tra diritto e management, Egea, 2025) si è avuto modo di osservare che entrambi i versanti dell’anticorruzione, quello preventivo-amministrativo e quello repressivo-penale, sono legati dal concetto cui questi, pur diversamente interpretandolo, si contrappongono: la corruzione.
Non sorprende, dunque, la necessità di definire preventivamente quest’ultima, come in un gioco degli specchi, in quanto “ogni città riceve la sua forma dal deserto a cui si oppone”[4], pur nella consapevolezza che la corruzione sia un fenomeno difficile da studiare[5].
Infatti, mentre la maggior parte delle trattazioni in materia è incentrata sulla misurazione del rischio corruttivo[6], si ritiene sommessamente che sia più importante inquadrare preventivamente il medesimo in una prospettiva multidisciplinare e integrata, che possa essere adeguata alla complessità dell’oggetto di studio.
Nello studio della corruzione, che è possibile definire quale “abuso da parte di un soggetto del potere a lui affidato al fine di ottenere vantaggi privati”[7], si contrappongono la prospettiva economica e l’approccio culturale.
Il primo si concentra sulla razionalità delle azioni individuali: la tangente viene percepita solo se le aspettative di beneficio superano i costi attesi[8]. Al di là della cost-benefit analysis, l’analisi economica concepisce il fenomeno corruttivo in termini di tradimento del rapporto principale-agente, poiché il funzionario pubblico dovrebbe operare per conto dello Stato e, invece, si fa distogliere e deviare dalle influenze operate da terzi.
Inoltre, i fattori abilitanti della corruzione possono essere espressi attraverso una formula matematica[9], secondo cui C = M + D – T – A: il livello di corruzione (C) si associa alla presenza di posizioni monopolistiche di rendita (M) e all’esercizio di poteri discrezionali (D), ed è inversamente collegato al grado di trasparenza (T) e di accountability (A) dell’agente[10].
In chiave culturale, si evidenzia come la corruzione dilaghi in quei contesti nei quali meno elevati sono gli standard morali, il senso civico, lo spirito di corpo e il senso dello Stato dei funzionari; si tratterebbe, dunque, di un problema di integrità morale e, ancor prima, di educazione. E’ riconducibile a questa impostazione anche la corrente “istituzionalista”, secondo la quale il fenomeno si amplifica quando le strutture politiche ed economiche restano inerti o lo agevolano implicitamente[11], così alimentando una sub-cultura della corruzione.
Entrambe le impostazioni appaiono in grado di spiegare l’evoluzione storica del fenomeno, conosciuto già nell’antichità classica[12] e ben noto sin dai primordi dell’Unità d’Italia.
Il trasformismo che connotò la Sinistra Storica di Agostino Depretis è stato, infatti, accostato all’odierna idea di corruzione, in quanto consisteva nel cambio di schieramento politico in cambio di vantaggi della più varia natura[13]; inoltre, l’eccessiva influenza della politica sull’amministrazione assunse, spesso, tratti patologici[14].
La malamministrazione continuò a serpeggiare durante il regime autoritario[15] e non si dissolse in epoca repubblicana[16], nonostante la presenza di “competenze professionali tecniche molto numerose e dotate di poteri incisivi” nonché la sussistenza di un corpo e di una funzione ispettiva autorevole nelle amministrazioni statali[17]. Il declino della qualità dell’amministrazione è dovuto, secondo alcune voci dottrinali, anche all’allentamento della presa dal centro sull’azione delle periferie, parallelamente al rafforzamento del principio di autonomia territoriale, che transitò attraverso l’istituzione delle Regioni nel 1970, la progressiva devoluzione delle funzioni amministrative e la riforma del Titolo V nel 2001[18].
Nonostante la presenza di documenti ufficiali che stigmatizzavano l’inefficienza e la corruzione delle pubbliche amministrazioni, quali il “Rapporto Giannini” del 1979 e la “Relazione Cassese” nel 1993, la situazione proruppe in un crescendo rossiniano che sfociò nel famoso discorso pronunciato da Bettino Craxi alla Camera dei Deputati il 3 luglio 1992 e nell’imponente reazione rappresentata da “Mani Pulite”, la cui eco risuona ancor oggi nei libri di storia[19] e nella memoria dei cittadini.
2. La definizione e l’impostazione generale dell’attuale sistema normativo anticorruzione.
Se la corruzione è definibile nei termini che precedono, l’anticorruzione si risolve in quell’insieme di politiche, modelli e regole che “si rivolgono a definire non tanto una strategia di contrasto criminale, quanto piuttosto le precondizioni di buona amministrazione e di integrità che rendono … più difficile l’emergere di patologie”[20].
Descrivere correttamente il fenomeno è imprescindibile ai fini della presente analisi, in quanto l’evoluzione generale del dibattito pubblico rischia, soprattutto negli ultimi anni, di portare il discorso sulla prevenzione della corruzione nel campo gravitazionale della criminalizzazione delle condotte corruttive, con improprie derive penalistiche, ciò che probabilmente è da riferirsi ai traumatici eventi storici prima rammentati[21].
Alla luce di un tale grado di pervasività del fenomeno, come suggerito dagli esaminati fattori di condizionamento storico, culturale ed economico e a prescindere da qualsiasi approfondimento in punto di misurazione quali-quantitativa (inutile in questa sede e per la quale si rinvia alla sterminata letteratura in materia[22]), interessa piuttosto evidenziare come sia stata definitivamente acquisita, sul piano delle politiche e della cultura dell’anticorruzione[23], la necessità di un approccio non solo repressivo-penale ed ex post, ma anche preventivo-amministrativo ed ex ante nella lotta al fenomeno corruttivo[24].
Tale circostanza ha determinato, in primo luogo, una fioritura degli studi aventi a oggetto l’etica del dipendente pubblico[25] e la riscoperta del relativo ancoraggio costituzionale (sebbene implicito, secondo alcuni[26]) negli artt. 54, 97 e 98 Cost. Infatti, “se è indubbio che il rapporto d’impiego determini il sorgere di posizioni giuridiche verso l’amministrazione d’appartenenza, occorre riconoscere che alle stesse si giustappongono – senza confondersi – i doveri o gli obblighi di disciplina e onore previsti dalla Costituzione in coloro cui sono affidate funzioni pubbliche senz’altra precisazione (art. 54, comma 2, Cost.), tra i quali emergono per rilievo i pubblici impiegati (art. 98 Cost.)”[27].
L’accentuazione della rilevanza dell’integrità morale del dipendente, come si dirà in sede di analisi dei codici di comportamento, rappresenta, in sé, un dato certamente positivo[28]; la corruzione, infatti, oltre a cagionare danni macroeconomici rilevanti, compromette la qualità delle istituzioni[29], l’onestà dei funzionari[30] e, in definitiva, la buona amministrazione.
Tuttavia, in parallelo, l’esigenza di moralizzazione dei pubblici dipendenti sembra aver generato un approccio generale alla tematica molto severo, con ogni probabilità derivante dalle dimensioni del fenomeno e ben espresso dalle seguenti parole: “More needs to be done to effectively convey to the public at large the message that no impunity is tolerated in the fight against corruption; such a message must be based on concrete and determined actions”[31]. Il punto di emersione di tale approccio è costituito, già sul piano lessicale, dalla denominazione “spazzacorrotti” con cui è volgarmente nota la L. n. 3/2019; non è mancato chi abbia (giustamente) criticato tale scelta, connotata da eccessiva enfasi punitiva, sfociante in un vero e proprio populismo penale, in disparte l’illusione insita nell’idea di voler “spazzare via”, una volta per tutte, il fenomeno corruttivo.
Questo humus culturale, a volte non totalmente scevro da intenti pedagogici[32], ha generato un sistema normativo estremamente articolato: la L. n. 190/2012 ha istituito un sistema di pianificazione, elemento ormai imprescindibile nell’ottica programmatoria che pervade le Pubbliche Amministrazioni[33], in cui il Piano Nazionale Anticorruzione (PNA) funge da atto di indirizzo per l’adozione dei Piani Triennali di Prevenzione della Corruzione e della Trasparenza (oggi riassorbiti nella sottosezione “Anticorruzione” del PIAO, su cui si tornerà) da parte delle singole Amministrazioni; alla legge generale ha fatto seguito uno stuolo di decreti attuativi, in materia di accesso civico semplice (D. Lgs. n. 33/2013), inconferibilità e incompatibilità di incarichi presso le PP.AA. (D. Lgs. n. 39/2013), codice di comportamento dei pubblici dipendenti (d.P.R. n. 62/2013, recentemente novellato con d.P.R. n. 81/2023), accesso civico generalizzato (D. Lgs. n. 97/2016), modifiche normative in tema di whistleblowing (dapprima L. n. 179/2017 e, da ultimo, D. Lgs. n. 24/2023).
In questo quadro sistematico, la prassi applicativa ha rivelato alcune tendenze abbastanza evidenti:
sospetto nei confronti della discrezionalità rimessa ai dipendenti pubblici[34], soprattutto nel settore dei contratti pubblici, ove sembra significativa la soppressione, già dal 2014, della precedente Autorità di Vigilanza (AVCP) per attribuire all’ANAC rilevanti poteri di regolamentazione, vigilanza, ispettivi e sanzionatori[35], unitamente a una legittimazione a ricorrere del tutto peculiare (art. 211, c. 1-bis, D. Lgs. n. 50/2016) e alla riduzione degli spazi applicativi dell’affidamento diretto (art. 36 D. Lgs. n. 50/2016) dovuta, al tempo stesso, a una certa logica di sfiducia nei confronti degli operatori delle stazioni appaltanti e all’eccessiva enfatizzazione del valore concorrenza[36], oggi decisamente ridimensionata dall’impianto complessivo del D. Lgs. n. 36/2023, che la interpreta quale mezzo e non quale fine;
valorizzazione (o aggravio?) della figura del Responsabile della Prevenzione della Corruzione e della Trasparenza (RPCT) attraverso l’attribuzione di compiti sempre più numerosi (redazione e monitoraggio del PTPCT, a pena di incappare in sanzioni derivanti dal rigido regime di responsabilità di cui agli artt. 12 e 14 L. n. 190/2012; controllo sull’adempimento da parte dell’amministrazione degli obblighi di pubblicazione previsti dalla normativa vigente, quantitativamente sempre più rilevanti; ricezione dei ricorsi gerarchici impropri in materia di accesso civico; cura dei rapporti con l’organo di indirizzo politico e con gli OIV), di difficilissima gestione in determinate PP.AA. (si pensi ai piccoli Comuni, ove il RPCT coincide “di norma”, ex art. 1, c. 7, L. n. 190/2012, con il Segretario generale, già impegnato da una enorme massa di adempimenti e coinvolto in tutti i principali processi che, in ottica manageriale, riguardano l’Ente);
predisposizione di un apposito apparato sanzionatorio amministrativo in caso di violazioni, la cui applicazione è rimessa all’Autorità Indipendente.
Da ciò discende un quadro generale, confermato dall’esperienza concreta di chi vive quotidianamente l’esperienza del lavoro nelle PP.AA., non del tutto confortante:
all’atto del confronto della suddetta normativa con l’esperienza pratica, ne è derivato un “sistema fortemente burocratico, che richiede una messe enorme di adempimenti e raccolta di dati, poco capace effettivamente, però, di prevenire la corruzione”[37];
conseguente disaffezione da parte dei responsabili della prevenzione della corruzione, il cui pensiero principale “non è quello di porre in essere azioni di contrasto alla corruzione, ma il rispetto della scadenza per aggiornare il piano triennale, (…) se il dato richiesto tra i 228 imposti dalla griglia sugli adempimenti della trasparenza sia stato scritto per tempo, se la pubblicazione tra le decine richieste dall’articolo 29 del d.lgs. 50/2016 sia saltata”[38];
insofferenza da parte degli organi di indirizzo politico, i quali, soprattutto nei piccoli Enti, percepiscono il sistema dell’anticorruzione quale “inutile consumo di carta”, che sottrae tempo ai dipendenti e non consente loro di conseguire tempestivamente altri obiettivi di amministrazione attiva;
indifferenza da parte dei pubblici impiegati, i quali, spesso non comprendendo a fondo la ratio insita nel sistema preventivo della corruzione, ignorano radicalmente l’esistenza di un PTPCT o di un codice di comportamento o, semplicemente, non lo applicano, percependolo come un quid estrinseco ed eteroimposto, comunque non essenziale per svolgere le ripetitive mansioni del quotidiano;
consolidamento, in un’ottica più generale, della “burocrazia difensiva”, consistente nell’atteggiamento del RPCT, del dirigente o, comunque, del decisore pubblico che procede “con i piedi di piombo, facendo prevalere il proprio interesse personale a schivare le sanzioni e così sacrificando l’interesse pubblico, che invece, oggi quanto mai, richiederebbe decisioni tempestive e coraggiose, da assumere sempre più spesso in contesti difficili e di estrema incertezza”[39], e derivante dalle condizioni di incertezza in cui si svolge il lavoro quotidiano, l’entità del danno che il funzionario può essere chiamato a risarcire, l’imprevedibilità del modo in cui la sua condotta può essere valutata dal giudice, l’assenza di polizze assicurative[40].
Si tratta di problemi sotto gli occhi di tutti e, non a caso, analizzati dalla dottrina richiamata, ma che, evidentemente, si trascinano da anni e non sono stati ancora risolti.
Questo, probabilmente, deriva dalla recente intuizione secondo cui il presupposto dell’anticorruzione è l’integrità morale, ma essa, configurando una “predisposizione interiore (,) … non può essere prodotta da nessuna di queste misure ‘etiche’, ma … rimanda direttamente allo standard morale di una società e … può essere costituita soltanto tramite l’educazione, ma non tramite ‘misure’ top down e dirigistiche”[41].
Per tali ragioni, già in altra sede (A. Ripepi, Dirigenza pubblica e fiducia cit.) è stata proposta una generale rilettura del sistema amministrativo dell’anticorruzione fondata sulla valorizzazione della discrezionalità, non più intesa quale fattore di rischio, in quanto tale da monitorare e mortificare.
3. La discrezionalità amministrativa in generale.
La discrezionalità amministrativa, come noto, è una modalità di espressione del potere pubblicistico che presuppone il conferimento (rectius il trasferimento) da parte della legge alla Pubblica Amministrazione di uno spazio valutativo e decisionale, connotato dalla precipua funzione di adattare le previsioni astratte individuate, appunto, dalla legge alla realtà fattuale, nell’ottica della necessità di tutelare gli interessi dei privati coinvolti nel procedimento amministrativo e con l’obiettivo primario di curare concretamente un determinato interesse pubblico, realizzando il massimo soddisfacimento dell’interesse primario con il minor sacrificio possibile degli interessi secondari.
L’analisi del carattere discrezionale dell’attività della Pubblica amministrazione non può prescindere da un’importante osservazione preliminare, volta a sottolineare come la riflessione sulla discrezionalità sia servita soprattutto a distinguere quest’ultima dall’arbitrio, indebolendo il privilegio in forza del quale la scelta discrezionale si rivelerebbe profondamente inidonea ad essere assoggettata al sindacato giurisdizionale.
Il dibattito dottrinale che ha contribuito a questo processo di chiarificazione è costituito da molteplici voci. Tuttavia, spetta a Vittorio Ottaviano[42] il merito di aver dimostrato non solo che la discrezionalità non può dirsi di per sé sottratta al sindacato giurisdizionale (tramite l’eccesso di potere, infatti, viene a sindacarsi, sia pure in maniera indiretta, proprio l’uso scorretto della discrezionalità), ma altresì che, tra il sindacato di chi esercita attraverso l’eccesso di potere e quello che si esercita in sede di riesame del merito, non esiste differenza sostanziale, presentando entrambi il medesimo oggetto, vale a dire il concretarsi del potere discrezionale nell’atto amministrativo.
Essi, come sopra accennato, si distinguono solamente sotto il profilo modale, attenendo il primo sindacato al processo logico tramite il quale si è concretizzata la scelta discrezionale, il secondo ad una piena ripetizione della comparazione degli interessi rilevanti nella fattispecie.
Il vivace disaccordo dottrinale che si è incentrato sull’argomento è stato infatti progressivamente rivolto a sottrarre la discrezionalità all’ambito (interno) originariamente proprio dell’autorità amministrativa ed affidato al suo esclusivo dominio per meglio consentirle di conseguire i propri interessi, non necessariamente coincidenti con quelli dei cittadini.[43]
Accantonata la tesi secondo la quale la discrezionalità è da intendersi libertà di scelta tra più comportamenti leciti per il soddisfacimento del pubblico interesse, la più moderna dottrina ritiene che tale potere consista nella ponderazione comparativa di più interessi secondari, laddove per interessi secondari devono intendersi quelli pubblici, collettivi e privati, mentre per interesse primario solo e sempre l’interesse pubblico.
Si ha dunque potere discrezionale quando il Legislatore concede all’Amministrazione una limitata libertà di scelta o di valutazione in ordine all’esercizio del potere medesimo, sicché ogni manifestazione di discrezionalità risulta in parte sindacabile ed in parte insindacabile, a seconda, da un lato, del grado (ritenuto accettabile) di sacrificio del bene giuridico protetto dalla norma attributiva del potere, e, dall’altro lato, della misura in cui si ritiene di dover tutelare l’esistenza di una libertà di scelta[44].
Dall’inclusione del potere discrezionale fra il settore delle attività regolamentate dalla legge e quello dei comportamenti le cui esplicazioni risultano libere da ogni predisposizione normativa deriva il rischio di far rientrare il potere medesimo in quello vincolato, oppure, all’opposto, in quello arbitrario[45].
Dalle considerazioni che precedono, discende il carattere ibrido della discrezionalità, causato dalla commistione, in essa, di vincolo e di libertà, che ne rappresentano gli essenziali presupposti.
L’elemento del vincolo deriva dal carattere funzionale del potere, ovvero dal suo essere munus rispetto alla funzione, intesa, quest’ultima, come collegamento del potere con interessi non propri del soggetto agente; il vincolo è pertanto rappresentato dall’obbligo di esercitare il potere in modo da soddisfare la funzione.
La componente libera attiene, invece, alla ricerca dei mezzi con i quali soddisfare, nei singoli casi concreti, gli interessi per la cui tutela il potere è stato conferito: alla lacunosità delle predisposizioni normative relative ai comportamenti da seguire corrisponde, infatti, in capo all’agente, l’esigenza di (liberamente) ricercare altre disposizioni regolative degli interessi affidati alla sua cura.
Sulla parte libera, caratterizzante il potere amministrativo, occorre in particolare soffermarsi: infatti, mentre ai fini della qualificazione di una fattispecie come potere non rileva l’estensione della parte libera, ossia la quantità di libertà concessa[46], sorgono differenze fra i diversi tipi di potere laddove si analizzi la qualità della libertà, quale si desume dalle regole che compongono la disciplina positiva del singolo tipo di potere. Quest’ultima parte dal presupposto che il potere stesso possa disporre autoritariamente della sfera giuridica altrui: ciò implica la necessaria imposizione di vincoli che condizionino dall’interno la ricerca del precetto e che concernono il modo in cui la scelta attinente alla parte libera del potere amministrativo possa essere compiuta.
Viene in rilievo il principio cardine dal quale è retta la struttura della regolamentazione positiva dell’atto amministrativo, vale a dire il principio di legalità, consacrato a livello costituzionale dall’art. 97, primo comma, Cost., il quale rappresenta l’espressione del principio democratico[47] caratterizzante l’intero ordinamento repubblicano: nel sistema del diritto amministrativo, invero, il fondamento ed il limite della peculiare condizione di privilegio riconosciuta alla PA come autorità devono essere rinvenuti nella legge, in funzione dello scopo pubblico da essa indicato.[48]
In base al principio di legalità, la Pubblica amministrazione deve agire osservando i contenuti ed i confini stabiliti dalla legge ed operare nel modo migliore possibile in base ai criteri di adeguatezza, convenienza e opportunità.[49]
Secondo tale ricostruzione, la discrezionalità consta di due momenti: uno cognitivo-valutativo, che importa l’acquisizione e la valutazione di tutti i fatti e gli interessi rilevanti, e l’altro volitivo, che consiste nella scelta della soluzione ritenuta più opportuna e conveniente per il miglior perseguimento dell’interesse pubblico.
In quanto espressione di potestà pubblicistica, l’attività discrezionale amministrativa si muove entro i limiti, positivi e negativi, che ne impediscono il trasmodare in mero arbitrio.
Sotto il primo profilo, la pubblica amministrazione è tenuta al rispetto del principio di finalizzazione dell’agere amministrativo, da intendere come necessaria tensione dell’attività pubblica verso il perseguimento del pubblico interesse e del principio del minimo mezzo, che impone alla Pubblica amministrazione di arrecare il minor pregiudizio possibile alle posizioni soggettive che interferiscono con l’interesse primario.
La discrezionalità è sì una libertà, e precisamente libertà di apprezzamento delle opportunità di soluzioni possibili[50] che dà luogo ad una manifestazione di volontà, ma è una libertà limitata positivamente poiché, comunque, è disciplinata da leggi ed è finalizzata proprio alla cura dell’interesse pubblico[51]; tuttavia, al di là di questi limiti, la Pubblica amministrazione è assolutamente libera.
Occorre, altresì, evidenziare che altra fondamentale distinzione dell’azione amministrativa è quella che separa l’attività discrezionale da quella vincolata; infatti quest’ultima, è caratterizzata dalla circostanza che tutti gli elementi da acquisire e valutare, ai fini della decisione della p.a., sono già rigidamente prefigurati dalla legge.
Da ciò consegue che, in tali casi, l’autorità amministrativa è tenuta a svolgere una semplice verifica tra quanto previsto dalla norma e quanto verificatosi nella realtà.
Pertanto, quando la P.A. adotta un provvedimento vincolato, ha l’obbligo di intervenire con un atto dovuto nell’an e vincolato nel contenuto, altresì, deriva l’obbligo di motivazione, che la giurisprudenza ha elaborato come canone in termine di dovere per ogni provvedimento amministrativo, ad opera dell’art.3 della legge sul procedimento amministrativo L.241 del 7/8/90 (l’assenza di motivazione denominata anche carenza di motivazione dà luogo al vizio di violazione di legge).[52]
La motivazione dovrebbe esprimere <<sostanzialmente>> l’interesse pubblico che ha guidato l’azione dell’amministrazione e non limitarsi a indicare <<formalmente>> norme e fatti[53].
4. Il problema (o l’opportunità) della discrezionalità nel sistema dell’anticorruzione[54]
Tanto premesso, si è già visto come, in base alle formalizzazioni matematiche del fenomeno corruttivo, la discrezionalità compaia tra i fattori che lo alimentano, in quanto consente al decisore pubblico di fruire di una possibilità di scelta tra più soluzioni consentite nella quale potrebbero allignare deviazioni dal perseguimento dell’interesse pubblico. Di conseguenza, all’atto della mappatura dei processi si consiglia di porre particolare attenzione ai settori in cui sussistono tali possibilità di manovra[55], con particolare riferimento al settore della contrattualistica pubblica[56].
Tali acquisizioni sono frutto di una precisa evoluzione storica. Le vicende di Tangentopoli dimostrarono l’inadeguatezza dell’assetto normativo allora vigente e suggerirono l’irrigidimento del sistema, con preferenza per l’azzeramento della discrezionalità dei funzionari pubblici e il ricorso alla gara per esigenze di trasparenza, unitamente alla diffusione del criterio di aggiudicazione del prezzo più basso, che avrebbe reso meccanicistiche[57] le procedure nella misura in cui il privato si limitava a indicare il corrispettivo in denaro, “la sola cosa rimasta in bianco dello schema adottato dalla pubblica amministrazione”[58].
Il D. Lgs. n. 163/2006 confermò questa tendenza alla iper-regolamentazione, ma fu accusato di rigidità e di sostanziale inidoneità a combattere il fenomeno corruttivo; inoltre, andò consolidandosi la consapevolezza del fatto che a poco serve limitare la discrezionalità dei funzionari se il quadro normativo è denso e incerto, aperto a diverse possibili interpretazioni, nell’ambito di una complessità che rende difficile distinguere condotte in buona fede o meno, con il rischio di eccessiva pressione sugli operatori pubblici e conseguente paralisi dell’azione amministrativa[59].
Il D. Lgs. n. 50/2016 avrebbe dovuto risolvere questo problema di “bulimia e incertezza legislativa, ponendo ex ante le regole certe (perché prodotte dell’autorità di regolazione e validate dal Consiglio di Stato), tramite linee guida prontamente aggiornate e aggiornabili a fronte di eventuali modifiche legislative sopravvenute”[60]. Nonostante gli aspetti indubbiamente positivi, quali l’istituzione della Banca Dati Nazionale dei Contratti pubblici, ne è risultato un complesso normativo in cui la parola “corruzione” era reiterata numerose volte, senza trascurare l’impressione generalizzata di una certa sfiducia nei confronti delle stazioni appaltanti e l’eccessiva preoccupazione di evitare reati piuttosto che garantire il buon funzionamento del mercato dei contratti pubblici[61].
D’altronde, lo stesso legislatore sembra aver manifestato insofferenza nei confronti del soffocamento dell’iniziativa dei dipendenti preposti all’aggiudicazione delle gare, come dimostra l’imporsi di modelli alternativi, quali il “contromodello Genova”[62], il decreto “sblocca-cantieri”[63] e, da ultimo, l’avvento del PNRR, in cui si avverte l’esigenza di realizzare le opere pubbliche nel minor tempo possibile al fine di rendicontare in sede europea, come dimostra – prima ancora dell’entrata in vigore del nuovo codice dei contratti – l’impostazione del D.L. n. 77/2021, recante “un binario parallelo per gli investimenti che riguardano il Pnrr”[64].
L’affresco storico rapidamente tratteggiato dimostra come l’eccessiva enfatizzazione della “lotta alla discrezionalità”, nel settore dei contratti pubblici così come in qualsiasi altro ambito dell’azione amministrativa, possa condurre a conseguenze paradossali, pervenendo a una visione razionalistica e meccanicistica della pubblica amministrazione che, con l’eliminazione dell’elemento personale come fattore di insicurezza, riesce a concepirsi in modo ideale. Si tratta dell’estremizzazione di quell’impostazione di base secondo cui “il civil servant è intrinsecamente visto come un potenziale corrotto, a cui va messa una stretta briglia con finalità contenitive e preventive”[65].
Tuttavia, tale filosofia di fondo appare controproducente, in quanto mortifica l’iniziativa del pubblico dipendente, in netto contrasto con il principio della fiducia che, come anticipato, è oggi desumibile da una norma cogente di legge, senza trascurare l’ulteriore conseguenza negativa dell’incremento dei costi di transazione e controllo (maggiori tempi per le decisioni, rigidità operative, più personale coinvolto)[66].
D’altronde, è lo stesso legislatore a fare riferimento all’iniziativa e autonomia decisionale dei funzionari pubblici (art. 2, c. 2, D. Lgs. n. 36/2023) e la Relazione di accompagnamento afferma che “il nuovo codice vuole dare, sin dalle sue disposizioni di principio, il segnale di un cambiamento profondo, che – fermo restando ovviamente il perseguimento convinto di ogni forma di irregolarità – miri a valorizzare lo spirito di iniziativa e la discrezionalità degli amministratori pubblici”[67].
La discrezionalità, infatti, è il nucleo essenziale del potere amministrativo, implicante la ponderazione di interessi primari e secondari, pubblici e privati, che è il proprium della funzione amministrativa. Un sistema anticorruzione che voglia dirsi rivisitato nelle fondamenta e adeguato alla nuova visione legislativa, più che irreggimentare i procedimenti e i processi sino a soffocare qualsiasi spiraglio di discrezionalità, dovrebbe focalizzarsi sull’adeguatezza della motivazione, presupposto, fondamento, baricentro ed essenza stessa del legittimo esercizio del potere amministrativo nonché presidio di legalità sostanziale insostituibile[68].
5. Conclusioni.
Sulla base di quanto argomentato, si ritiene di poter affermare che solo la motivazione, a prescindere dal singolo e atomistico adempimento procedimentale, può dare evidenza delle scelte compiute e delle ragioni di fatto e di diritto che le sorreggono, così consentendo la comprensibilità del provvedimento, il sindacato giurisdizionale e il controllo diffuso da parte della collettività[69]. Tale rivoluzione culturale condurrebbe a superare quello che autorevole dottrina definisce “declino della decisione motivata” e che incide negativamente sulla legittimazione dei pubblici poteri (che un sistema anticorruzione virtuoso dovrebbe aiutare a recuperare, più che ad annullare del tutto)[70].
[1] Nonostante il lavoro sia frutto della riflessione congiunta dei due autori, i paragrafi 1, 2, 4 e 5 sono da attribuirsi ad Antonino Ripepi, mentre il par. 3 è stato realizzato da Stefano Maria Vilasi.
[2] Procuratore dello Stato presso l’Avvocatura Distrettuale dello Stato di Reggio Calabria, già Segretario comunale.
[3] Dottorando in “Global Governance and Sustainable Development” presso “Università Dante Alighieri di Reggio Calabria”
[4] I. Calvino, Le città invisibili, Einaudi, 1971.
[5] In questi termini P. Davigo – G. Mannozzi, La corruzione in Italia. Percezione sociale e controllo penale, Laterza, 2007, pp. 3 ss.
[6] P. Davigo – G. Mannozzi, op. cit.; C.A. Strazzeri – M. Rupcic, ISO 37001 e i Sistemi di gestione anti-corruzione, Wolters Kluwer, 2016; M. Gnaldi – B. Ponti, Misurare la corruzione oggi, FrancoAngeli, 2018; F. Monteduro – S. Brunelli – A. Buratti, La corruzione. Definizione, misurazione e impatti economici, Formez PA, Vol. I, 2013.
[7] ANAC, PNA 2013, disponibile in http://comunicazione.formez.it/sites/all/files/pna_sett_2013.pdf, p. 13.
[8] All’analisi economica della corruzione è dedicato un intero Capitolo di A. Balestrino, E. Galli, L. Spataro, Scienza delle finanze, UTET, 2015, pp. 177 ss.
[9] Peraltro non del tutto condivisibile, come si dirà.
[10] La corruzione in Italia. Per una politica di prevenzione. Rapporto della Commissione per lo studio e l’elaborazione di proposte in tema di trasparenza e prevenzione della corruzione nella pubblica amministrazione, 2012, disponibile in https://www1.interno.gov.it/mininterno/export/sites/default/it/sezioni/sala_stampa/documenti/anticorruzione/2012_10_23_rapporto_corruzione_in_Italia.html_8783072.html, p. 20.
[11] F. Fornari, Sociologia della corruzione: aspetti epistemologici e teorici, in Rivista quadrimestrale di scienze storiche e sociali, n. 3/2015, p. 72.
[12] V. gli ampi riferimenti contenuti in M. D’Alberti, Corruzione, Treccani, 2020, pp. 3 ss.
[13] Voce Trasformismo, Dizionario di Storia Treccani online, disponibile in https://www.treccani.it/enciclopedia/trasformismo_%28Dizionario-di-Storia%29/
[14] E. Ragionieri, Politica e amministrazione nella storia dell’Italia unita, Bari, 1967, pp. 3 ss.
[15] In cui la corruzione fu elevata “ad arte di governo” secondo C. A. Brioschi, La corruzione. Una storia culturale, Guanda, 2018, p. 131.
[16] Sino a divenire “dato strutturale della nostra storia unitaria”: I. Sales – S. Melorio, Storia dell’Italia corrotta, Rubbettino, 2019, p. 15 ss.
[17] G. Melis, La lunga storia della corruzione italiana, Lezione di sabato 25 febbraio 2017 alla Facoltà Giurisprudenza, Università di Roma “La Sapienza” – Master Università-ANAC, disponibile in eticapa.it, p. 6.
[18] M. D’Alberti, Introduzione, in Id. (a cura di), Corruzione e pubblica amministrazione, Jovene, 2017, pp. 7-12.
[19] G. Sabbatucci – V. Vidotto, Il mondo contemporaneo, Laterza, 2019, pp. 601 ss.
[20] E. Carloni, op. cit., pp. 21-22.
[21] Scrive Battini che “la disciplina per il contrasto della corruzione, intesa in senso assai lato, ha impresso al sistema amministrativo una curvatura penalistica, in cui una penetrante regolazione di prevenzione del fenomeno, inevitabilmente imperniata sul sospetto di potenziali attività illecite della burocrazia, è venuta a saldarsi con un inasprimento della disciplina repressiva della corruzione” (S. Battini, La riforma deformata della Costituzione amministrativa italiana: una retrospettiva a vent’anni dal d. lgs. n. 165 del 2001, in Istituzioni del federalismo, n. 2/2021, p. 319).
[22] Ex plurimis, si v. La corruzione in Italia. Per una politica di prevenzione cit., pp. 7 ss.
[23] Cui è dedicata la recentissima monografia di E. Carloni, L’anticorruzione cit.
[24] Id., voce Corruzione (prevenzione della), in Enciclopedia del Diritto, I Tematici, Funzioni amministrative, Giuffré, 2022, p. 321.
[25] F. Merloni – R. Cavallo Perin, Al servizio della Nazione. Etica e statuto dei funzionari pubblici, FrancoAngeli, 2009; F. Merloni – L. Vandelli, La corruzione amministrativa: cause, prevenzione e rimedi, Passigli, 2010.
[26] M. Galdi, La corruzione come disvalore costituzionale, in federalismi.it, n. 20/2019, p. 10.
[27] R. Cavallo Perin, L’etica pubblica come contenuto di un diritto degli amministrati alla correttezza dei funzionari, F. Merloni – R. Cavallo Perin, Al servizio della Nazione cit., p. 150.
[28] Si trattava dell’auspicio espresso da B.G. Mattarella, Le regole dell’onestà. Etica, politica, amministrazione, Il Mulino, 2007.
[29] Come evidenziato, in ambito europeo, nel Discorso della presidente Ursula von der Leyen sullo stato dell’Unione 2022, 14 settembre 2022, in cui si evidenzia che la corruzione pone in discussione gli interessi pubblici fondamentali e i diritti umani, nonché la legittimazione delle istituzioni democratiche, con rischio di cattura delle élite politiche e burocratiche non solo da parte di agenti stranieri, bensì anche di agenti stranieri che tentano di influenzare il tessuto politico dell’UE. D’altronde, già nel 2021 si era registrato un Progetto di Raccomandazione del Parlamento europeo che mira a rafforzare la strategia europea e richiede alla Commissione di “formulare una strategia anticorruzione completa, globale, coerente ed efficace”, “facendo tesoro degli strumenti anticorruzione esistenti e delle buone pratiche presenti nel pacchetto di strumenti dell’UE, individuando le lacune, incrementando gli stanziamenti” e conferendo “priorità alla prevenzione nella lotta alla corruzione mettendo in atto misure, politiche e pratiche preventive, comprese campagne di sensibilizzazione e formazione nei settori pubblico e privato”.
[30] F. Merloni – A. Pirni, Etica per le istituzioni. Un lessico, Donzelli, 2020.
[31] Rapporto di valutazione sull’Italia adottato dal GRECO, 27 maggio 2011, Greco Eval RC-I/II Rep (2011) 1E, disponibile in https://rm.coe.int/16806c6952, p. 24.
[32] Come acutamente notato dalla dottrina che discorre di “professionismo dell’anticorruzione”: R. Borsari, La corruzione pubblica. Ragioni per un cambiamento della prospettiva penale, Giappichelli, 2020, p. 2.
[33] In materia contabile, si pensi all’art. 7 L. n. 196/2009; in riferimento alla gestione del personale, si abbia riguardo all’art. 6 D. Lgs. n. 165/2001.
[34] Particolarmente sorvegliata in sede di mappatura dei processi a rischio e di redazione dei PTPCT.
[35] Il discorso merita un approfondimento. La Convenzione delle Nazioni Unite del 2003 vincolava gli Stati a prevedere “autorità specializzate”, cioè “uno o più organi o persone specializzate nella lotta alla corruzione mediante attività di individuazione e repressione”, delle quali garantire “l’indipendenza necessaria, conformemente ai principi fondamentali del sistema giuridico dello Stato Parte, per potere esercitare le proprie funzioni efficacemente e al riparo da ogni indebita influenza” (art. 36). L’Italia ha adempiuto istituendo un’Autorità dedicata a compiti di prevenzione, con un ruolo che spazia dall’implementazione delle politiche anticorruzione al rafforzamento della cultura della legalità e il monitoraggio sugli adempimenti con l’esercizio di poteri sanzionatori (multi-purpose anti-corruption agencies, modello in cui rientrano anche l’Autorità francese, la National Integrity Agency in Romania e l’Office of Government Ethics statunitense), sebbene fossero astrattamente possibili anche multipurpose agencies (con poteri investigativi) e law enforcement agencies (con poteri repressivi; E. Carloni, op. cit., pp. 92-93). Tuttavia, non vi era alcun vincolo sovranazionale circa l’identificazione tra l’Autorità indipendente preposta all’anticorruzione e quella operante nel settore dei contratti pubblici; anzi, tale scelta, pressoché isolata nel panorama europeo, è stata criticata dalla dottrina (E. Carloni, L’anticorruzione e la trasparenza nel sistema di procurement pubblico: tendenze e prospettive ai tempi del PNRR, in Dir. Amm., n. 3/2022).
[36] Non possiamo tacere di quell’evoluzione storica per cui, a breve distanza di tempo dallo scandalo di “Tangentopoli”, già la “Legge Merloni” del 1994 intervenne a imporre un impianto maggiormente orientato alla soluzione della gara e al contenimento di margini di discrezionalità nella scelta del contraente: le regole pubblicistiche “apparivano più congeniali a combattere la piaga delle collusioni occulte tra gli uffici delle amministrazioni, i fornitori, gli appaltatori e i somministratori” (S. Fantini – H. Simonetti, Le basi del diritto dei contratti pubblici, Giuffré, 2019, p. 6).
[37] L. Oliveri, Anticorruzione ancora da rodare, 2017, in https://luigioliveri.blogspot.com/2017/01/anticorruzione-ancora-da-rodare.html
[38] Ibidem.
[39] A. Battaglia – S. Battini – A. Blasini – V. Bontempi – M. P. Chiti – F. Decarolis – S. Mento – A. Pincini – A. Pirri Valentini – G. Sabato, Burocrazia difensiva: cause, indicatori e rimedi, in https://images.irpa.eu/wp-content/uploads/2021/03/Burocrazia-difensiva_Battini.pdf, p. 1.
[40] Ivi, p. 2.
[41] M. Krienke, Trasparenza, integrità e good governance. La necessaria dimensione etica nella pubblica amministrazione oggi, in P. Previtali – R. Procaccini – A. Zatti (a cura di), Trasparenza e anticorruzione: la nuova frontiera del manager pubblico, Pavia University Press, 2016, p. 93.
[42] Cfr. V. Ottaviano, op.cit., 308 ss.; voce Merito (Diritto amministrativo), Torino, Utet, 1968, 575 ss.
[43] G. Barone, voce Discrezionalità (Diritto amministrativo), in Enc. giur., XIII, Roma, Istituto dell’Enciclopedia Italiana, 1989,1.
[44] S. Lombardi, op. cit., 414.
[45] C. Mortati, op.cit., 1099.
[46] G. Guarino, op.cit., 192 e 195. Il potere- qualunque potere: legislativo, politico, negoziale-rimane tale anche se lo spazio da colmare attraverso l’autonoma formulazione del precetto sia minimo: si pensi alla scelta da compiere di fronte a due opzioni di un’unica alternativa. L’autore, inoltre, avverte che, << più il potere è libero nel suo contenuto e con riguardo ad ogni possibile aspetto, più esso è vincolato nel procedimento. Il potere tra tutti più libero, è quello di revisione costituzionale: corrispondentemente la procedura per la modifica della Costituzione è aggravata rispetto al procedimento amministrativo ordinario […].
Anche a livello amministrativo, malgrado il rigore del principio di specificità, vi sono poteri che, per necessità di cose, devono avere un maggior grado di indeterminatezza. Il sistema reagisce a questa necessità adottando lo stesso metodo di cui già si è fatto cenno a proposito dei poteri legislativi: se l’oggetto non tollera, per la natura del potere da esercitare, una più precisa definizione, si accrescono i vincoli procedimentali>> (141-144).
[47] L. Carlassare, in Enc. giur., VIII, Roma Istituto dell’Enciclopedia Italiana, 1990,5, che, a proposito della valenza democratica del principio di legalità nella sua portata generale, osserva che <<in un sistema democratico dove le scelte non possono che competere agli organi rappresentativi, la legalità (sostanziale) va valutata anche come strumento fondamentale per rendere democratica l’amministrazione, affidata ad una burocrazia priva di legittimazione propria>>.
[48] V. Gasparini Casari, op.cit.,33-34. L’autore sostiene che il principio di legalità, proprio in relazione al principio democratico, debba essere inteso nel senso più ampio e persuasivo. A questo riguardo afferma che << i poteri d’imperio, di cui può disporre l’amministrazione, sussistono solo in quanto sono previsti dalla legge e devono essere esercitati, non solo nel rispetto della legge, ma anche in conformità a quanto da essa stabilito>>.
[49] F.C. Scoca ivi, p.21-22; R. Chieppa, M. Lunardelli, Attività discrezionale e attività vincolata della Pubblica amministrazione , in Altalex 2017.
[50] M.S. Giannini, Il potere discrezionale della P.A. MI, Giuffré, 1939, p.40.
[51] M.S. Giannini, ivi p.13.
[52] F. Caringella, I nuovissimi principi del diritto amministrativo, cit.,104.
[53] E. Casetta, Compendio di diritto amministrativo, cit., 362.
[54] Sia consentito il rinvio ad A. Ripepi, Principio della fiducia ed estensione del sindacato giurisdizionale del giudice amministrativo, in Giur. it., 4/2024.
[55] D. Senzani, Misure di prevenzione della corruzione, discrezionalità e prassi amministrativa, in F. Cerioni – V. Sarcone, Legislazione anticorruzione e responsabilità nella Pubblica Amministrazione, Giuffré, 2019, pp. 41 ss.
[56] Sui rapporti tra anticorruzione e contratti pubblici v., tra tutti, E. Carloni, L’anticorruzione cit., pp. 231 ss.
[57] M.A. Sandulli – A. Cancrini, I contratti pubblici, in F. Merloni – A. Vandelli (a cura di), La corruzione amministrativa cit., pp. 441-443.
[58] S. Fantini – H. Simonetti, Le basi del diritto dei contratti pubblici cit., p. 23.
[59] S. Torricelli, Disciplina degli appalti e strumenti di lotta alla “corruzione”, in Diritto pubblico, n. 3/2018, pp. 953-977; M. Cafagno, Contratti pubblici, responsabilità amministrativa e “burocrazia difensiva”, in Il diritto dell’economia, n. 3/2018, p. 33.
[60] E. Carloni, L’anticorruzione cit., p. 240.
[61] M. Delsignore – M. Ramajoli, La prevenzione della corruzione e l’illusione di un’amministrazione senza macchina, in Rivista trimestrale di diritto pubblico, n. 1-2019, pp. 61 ss.
[62] Caratterizzato dai poteri attribuiti al Commissario straordinario, il quale poteva operare “in deroga a ogni disposizione di legge extrapenale, fatto salvo il rispetto dei vincoli inderogabili derivanti dall’appartenenza all’Unione Europea” (art. 1, c. 5, D.L. n. 109/2018).
[63] D.L. n. 32/2019, recante numerose misure di sospensione di efficacia e di deroga.
[64] P. Lazzara, Introduzione al sistema dei contratti della pubblica amministrazione, in Id. (a cura di), Il diritto dei contratti pubblici. Temi e questioni, Aracne, 2021, p. 22.
[65] A. Zatti, Un quadro in tumultuoso divenire, in P. Previtali – R. Procaccini – A. Zatti (a cura di), Trasparenza e anticorruzione: la nuova frontiera del manager pubblico cit., p. 12.
[66] Ibidem.
[67] Relazione agli articoli e agli allegati del Codice cit., p. 15.
[68] Corte cost., ord. 26 maggio 2015, n. 92.
[69] B. Marchetti, Il principio di motivazione, in M. Renna – F. Saitta (a cura di), Studi sui principi del diritto amministrativo, Giuffré, 2011, pp. 521-522, ove l’Autrice evidenzia l’evoluzione dalla concezione garantistica per il privato allo strumento di accountability delle decisioni delle amministrazioni internazionali con ampi riferimenti di diritto comparato.
[70] M. Ramajoli, Il declino della decisione motivata, in L. Giani – M. Immordino – F. Manganaro, Temi e questioni di diritto amministrativo, Editoriale Scientifica, 2019, pp. 168-169.
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