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I comuni approvano le tariffe in ritardo

Il numero dei Comuni inadempienti è aumentato rispetto allo scorso anno. Si tratta delle amministrazioni che non hanno inviato entro i termini le delibere tributarie al Mef oppure le hanno approvate oltre i termini. Fino ad oggi ci sono 157 Comuni con delibere Tari pubblicate tardivamente ed altri 31 che le hanno approvate oltre il tempo massimo. Per quanto riguarda l’Imu, ci sono 112 Comuni con delibere pubblicate in ritardo e 288 Comuni con una delibera oltre i termini. Nel caso dell’Imu, molte delibere confermano le aliquote del 2023, cosicché il ritardo del Comune non produce effetti negativi. L’inefficacia della delibera 2024 comporta l’applicazione delle aliquote 2023. Ben diversa è la situazione per la Tari. La normativa prevede l’invio delle delibere Imu e Tari entro il termine del 14 ottobre e la loro efficacia è subordinata alla pubblicazione sul portale del federalismo fiscale entro il 28 ottobre.  L’approvazione delle tariffe Tari oltre il termine, come la mancata pubblicazione, implica conseguenze pesanti per i funzionari comunali, perché l’inefficacia della delibera determina una situazione tale che che il Comune non può garantire la copertura integrale dei costi del servizio rifiuti con le tariffe. Quindi deve colmare la differenza con risorse proprie, e questo potrebbe configurare danno erariale.

Lo scorso anno i Comuni sono stati salvati da una sanatoria per gli invii effettuati entro il 30 novembre 2023. L’Anci ha proposto una sanatoria anche per quest’anno con un emendamento che dispone la sanatoria per gli invii effettuati entro il 30 novembre 2024. La sanatoria rappresenterebbe, dunque, un rimedio opportuno.

L'utilizzo della graduatoria

Quando si può non utilizzare una graduatoria

 

Siamo a fine anno. Sappiamo bene che alcune procedure concorsuali rischiano di non chiudersi con la graduatoria entro l’esercizio. Tra l’altro, quest’anno, c’è pure la novità del turn-over che dal 2025 torna in gran parte degli enti locali (quelli con più di venti dipendenti a tempo indeterminato).

Nell’attesa di capire se saranno fatte salve le assunzioni già avviate (così come era successo con il DM 17/03/2020), vi segnalo quanto affermato, tra le altre cose, dalla Corte di Cassazione, sezione lavoro, con l’ordinanza 4 novembre 2024, n. 28319:

Risulta legittima la decisione di non procedere all’assunzione (del vincitore già in graduatoria) quando la clausola del bando di concorso non sia meramente potestativa ma, bensì, condizionata, alla permanenza del quadro normativo (ivi comprese le norme di finanza pubblica e/o la sussistenza della copertura finanziaria) e/o all’emergere di nuove esigenze organizzative, subordinando, pertanto, il venir meno dell’efficacia del provvedimento originario ad un successivo e concreto apprezzamento dell’attualità dell’interesse pubblico alla stregua degli indicati parametri.

www.gianlucabertagna.it

Chiarimenti su Tari e autosmaltimento

Alcuni chiarimenti su TARI e autosmaltimento dei rifiuti

In tema di TARI, i contribuenti che provvedono all’autosmaltimento di rifiuti speciali possono beneficiare di esenzioni o riduzioni sull’imposta, in presenza di specifiche condizioni.

Secondo la normativa e la giurisprudenza consolidata, per fruire dell’esenzione è indispensabile che il contribuente presenti annualmente al Comune un’apposita dichiarazione, contenente tutti i presupposti di legge, ossia natura speciale dei rifiuti, estensione della superficie in cui vengono prodotti, effettività delle spese sostenute per l’autosmaltimento, allegando idonea documentazione a sostegno.

Ebbene, al riguardo si è di recente pronunciata, con la sent. 3368/2024, la Corte di giustizia Tributaria di secondo grado del Lazio. Tuttavia, prima di analizzare nel dettaglio la decisione dei giudici contabili, è opportuna una breve disamina della disciplina in materia di TARI.

Disciplina in materia di TARI

La tassa sui rifiuti (TARI) è un tributo finalizzato a finanziare i costi del servizio di raccolta e smaltimento dei rifiuti ed è dovuto da chiunque possegga, a qualsiasi titolo, locali o aree scoperte che producono rifiuti.

 

La TARI è stata introdotta dalla legge di stabilità per il 2014 e ha sostituito il tributo comunale sui rifiuti e sui servizi (TARES), che, a sua volta, aveva preso il posto di tutti i precedenti tributi relativi alla gestione dei rifiuti (TARSU, TIA1, TIA2).

 

La TARI si applica a chi detiene o possiede, in qualsiasi forma, spazi chiusi o aree scoperte che possano generare rifiuti urbani, ai sensi dell’art. 1, co. 641, primo periodo, l. n. 147 del 2013.

 

Al riguardo, la Corte di Cassazione ha ribadito più volte che l’elemento cruciale per l’insorgere dell’obbligo di pagamento è la capacità dell’immobile o dell’area di produrre rifiuti. Pertanto, non basta a escludere il tributo che il locale o l’area non venga utilizzato. Per essere esonerato dalla TARI, infatti, il contribuente deve dimostrare che il locale o l’area non possa effettivamente produrre rifiuti, in base a caratteristiche oggettive di inutilizzabilità.

Presunzioni sull’uso dell’immobile e la possibilità di produrre rifiuti

 

Secondo una consolidata giurisprudenza, l’eventuale presenza di arredi o la connessione a una rete di utenze costituiscono presunzioni che danno per scontato l’uso dell’immobile e la possibilità di produrre rifiuti. Tali presunzioni possono essere contestate solo dal contribuente, che deve fornire specifiche prove contrarie. Di conseguenza, per non essere assoggettato alla TARI, l’immobile deve risultare privo sia di arredi che di utenze. È possibile che il Comune, attraverso regolamenti specifici, introduca ulteriori indicatori che possano integrare la presunzione di imponibilità, a condizione che siano realmente significativi per l’uso dell’immobile.

 

Con l’ordinanza n. 17564/2023, la Corte di Cassazione ha riaffermato che la Tari è dovuta per il solo possesso di locali o aree idonee alla produzione di rifiuti e alla disponibilità del servizio comunale, indipendentemente dall’effettivo utilizzo degli immobili. La prestazione TARI è strutturata come tributo autoritativo, pertanto, salvo tassative ipotesi di esenzione documentate, il contribuente non può sottrarsi all’obbligo di pagamento. La volontà individuale del contribuente di non utilizzare il servizio è irrilevante in un contesto in cui il tributo finanzia un servizio indivisibile.

 

Sono, invece, escluse dalla TARI le aree scoperte accessorie o pertinenziali a locali tassabili, che non siano operative, nonché le aree comuni condominiali, come definite dall’art. 1117 c.c., qualora non siano in uso esclusivo del soggetto, in base a quanto previsto dall’art. 1, co. 641, secondo periodo, l. n. 147 del 2013.

Riduzione/esenzione TARI

 

La legge prevede alcune ipotesi di riduzione/esenzione dalla TARI, ovvero:

 

    riduzioni della quota variabile proporzionali alle quantità di rifiuti speciali assimilati agli urbani che il produttore dimostra di aver avviato al riciclo, disciplinate dal Comune con proprio regolamento, ai sensi dell’art. 1, co. 649, secondo periodo, l. n. 147 del 2013;

    riduzione per mancato svolgimento del servizio di gestione dei rifiuti/effettuazione del servizio in grave violazione della disciplina di riferimento/interruzione del servizio per motivi sindacali o per imprevedibili impedimenti organizzativi che abbiano determinato una situazione riconosciuta dall’autorità sanitaria di danno o pericolo di danno alle persone o all’ambiente: la TARI è dovuta nella misura massima del 20%, ai sensi dell’art. 1, co. 656, l. n. 147 del 2013;

    infine riduzione per le zone in cui non è effettuata la raccolta: la TARI è dovuta nella misura massima del 40%, secondo quanto stabilito dal Comune che può anche graduare la tariffa in relazione alla distanza dal più vicino punto di raccolta rientrante nella zona perimetrata o di fatto servita, ai sensi dell’art. 1, co. 657, l. n. 147 del 2013.

 

Discrezionalità per il Comune

 

Il Comune ha, inoltre, facoltà di introdurre con proprio regolamento:

 

    esenzioni e riduzioni in favore delle specifiche fattispecie individuate dalla legge, che, in quanto connesse a una minore attitudine a produrre rifiuti danno luogo ad un minor gettito da inserire tra i costi del piano finanziario, ai sensi dell’art. 1, co. 659, l. n. 147 del 2013; tali fattispecie sono:

        abitazioni con unico occupante;

        abitazioni e locali per uso stagionale;

        ancora abitazioni occupate da soggetti che risiedano o abbiano la dimora, per più di sei mesi all’anno, all’estero;

        fabbricati rurali ad uso abitativo;

        attività di prevenzione nella produzione di rifiuti (in particolare: utenze domestiche che abbiano avviato il compostaggio domestico), commisurando le riduzioni tariffarie alla quantità di rifiuti non prodotti.

    esenzioni e riduzioni in favore delle ulteriori fattispecie ritenute dall’ente locale meritevoli di tutela, a prescindere da una minore produttività di rifiuti delle utenze; in tali ipotesi, il Comune deve finanziare la misura facendo ricorso a risorse derivanti dalla fiscalità generale del Comune e diverse, quindi, dai proventi del tributo, ai sensi dell’art. 1, co. 660, l. n. 147 del 2013.

 

Il caso esaminato dalla Cassazione in materia di TARI e autosmaltimento di rifiuti

 

Tornando alla pronuncia citata in apertura, essa origina da un ricorso presentato da una società contro un avviso di accertamento TARI del Comune di Cassino. In primo grado, la Cgt di Frosinone rigettava il ricorso e confermava l’avviso di accertamento. La Corte di giustizia Tributaria di secondo grado del Lazio, nel rigettare il ricorso, ha ribadito che, per ottenere l’esclusione dalla TARI, è necessario dimostrare la sussistenza di tutti i presupposti previsti dalla legge: natura speciale dei rifiuti, estensione della superficie coinvolta e la prova documentata delle spese sostenute per lo smaltimento. La società, oltre a non aver presentato la denuncia sui rifiuti smaltiti negli anni precedenti, non ha individuato in modo specifico le aree che avrebbero dovuto essere escluse dalla tassazione, né ha fornito documentazione comprovante l’avvenuto smaltimento autonomo dei rifiuti speciali.

L’appello

 

Pertanto, l’appello presentato dalla società è stato respinto, poichè, oltre alla mancanza della denuncia di cui si parlava, la parte appellante non aveva neppure adempiuto all’onere di indicare con precisione quali fossero le aree che riteneva esenti dalla tassazione, né aveva fornito prove in merito. Invece di allegare documentazione specifica, come planimetrie dettagliate, registri delle operazioni di carico e scarico dei rifiuti o contratti con ditte autorizzate per lo smaltimento degli stessi, la ricorrente si era limitata ad un generico riferimento all’esenzione per gli anni passati. Pertanto, in mancanza di prove a supporto, era corretto che il Comune avesse calcolato l’imposta sulla base della superficie catastale.

 

In tale contesto, era compito della ricorrente identificare in modo preciso le aree non soggette a tassazione e fornire prove a sostegno delle relative condizioni. Tuttavia, tale obbligo non è stato assolto dalla ricorrente, la quale ricorreva in appello ritenendo che i giudici di primo grado non avessero preso in considerazione la documentazione allegata al ricorso, che dimostrava l’attività della società appellante (raccolta, smaltimento, stoccaggio, riciclaggio, trasformazione e commercio di materiali come rottami ferrosi e rifiuti pericolosi/speciali, tra cui acciaio, ghisa e metalli non ferrosi come inox, alluminio, ottone, piombo, rame e zinco), nonché lo smaltimento dei rifiuti a spese proprie, come attestato dal contratto stipulato con una società di smaltimento.

Le conclusioni dei giudici

 

Tuttavia, come già detto, la sentenza di primo grado è stata confermata, dal momento che l’esenzione dalla TARI per una specifica area dell’immobile, in cui si presume venga effettuato lo smaltimento autonomo dei rifiuti speciali, è condizionata alla presentazione di una dichiarazione ad hoc che dimostri il rispetto di tutti i requisiti di legge.

 

A tal proposito, va osservato che manca anche l’ulteriore presupposto per l’invocata riduzione, che sarebbe stato il tempestivo invio della documentazione al Comune, a conferma che lo smaltimento dei rifiuti speciali nella porzione di immobile in questione sia stato effettuato a cura e spese della società.

 

Infine, la documentazione presentata non è idonea a provare tale circostanza, poiché non chiarisce a quale stabilimento si riferisca, né copre l’intero periodo di riferimento, ma si limita al solo mese di maggio 2015.

 

In conclusione, la sentenza n. 3368/2024 della Corte di Giustizia Tributaria del Lazio ribadisce che, per ottenere l’esenzione o la riduzione della TARI in caso di smaltimento autonomo dei rifiuti speciali, è fondamentale rispettare tutte le condizioni previste dalla normativa, tra cui la presentazione di una dichiarazione annuale corredata da idonea documentazione. La Corte ha confermato la legittimità dell’operato del Comune di Cassino, sottolineando che l’assenza di prove adeguate e la mancata identificazione specifica delle aree da esentare impediscono l’accesso alle riduzioni fiscali. Questo orientamento conferma la necessità di un rigoroso adempimento degli obblighi documentali da parte dei contribuenti per usufruire di eventuali esenzioni o riduzioni della TARI.

lentepubblica.it

 

Equo compenso

Equo compenso: la normativa attuale permette di ribassare le sole “spese e oneri accessori”.

Tar Lazio, Roma, Sez. III Quater, 14/11/2024, n. 20274

Nell’attesa delle modifiche previste nel correttivo, il Tar Lazio accoglie il ricorso facendo riferimento alla decisione del Tar Calabria n. 483/2024 (Equo compenso da valutare in fase di verifica di congruità dell’offerta. Un altro sì. – Giurisprudenzappalti), evidenziando come la normativa attuale permetta di ribassare le sole “spese e oneri accessori” ma non il “compenso”.

 

Questo quanto stabilito da Tar Lazio, Roma, Sez. III Quater, 14/11/2024, n. 20274:

 

Il TAR Reggio Calabria, che a sua volta si è pronunciato a favore dell’indirizzo espresso dal TAR Salerno, ha rimarcato, in particolare, come l’individuazione del subprocedimento di verifica dell’anomalia dell’offerta sia la sede in cui misurare l’incidenza in concreto del ribasso operato sulla componente del compenso e, allo stesso tempo, sulle soglie minime stabilite dalle tabelle ministeriali.

 

La sentenza citata ha poi rimarcato “come l’individuazione del subprocedimento di verifica dell’anomalia dell’offerta quale sede in cui misurare l’incidenza in concreto del ribasso operato sulla componente del ‘compenso’ sulla serietà dell’offerta e, allo stesso tempo, sulle soglie ‘minime’ stabilite dalle pertinenti previsioni ministeriali, costituisca un presidio idoneo a scongiurare i rischi paventati dai sostenitori dell’opposta tesi.

 

Ed infatti un ribasso eccessivo, tale da erodere in maniera significativa la componente del ‘compenso professionale’, ove non giustificato da adeguate e convincenti motivazioni di fatto (rivenienti dalle capacità ‘strutturali’ del concorrente, dall’interesse all’affidamento per l’arricchimento del curriculum professionale, dalle esperienze già maturate in progettazioni analoghe, etc.), potrebbe certamente essere valutato dalla stazione appaltante come indicativo di una scarsa serietà dell’offerta, con ogni conseguente determinazione”.

 

Posti questi principi, è da rilevare che l’offerta della ricorrente appare in linea con quanto richiesto dalla normativa attuale che permette di ribassare le sole “spese e oneri accessori” ma non il “compenso”, non ravvisandosi alcun vincolo normativo che potesse impedire al concorrente di effettuare un ribasso del 100% sulle voci cui la stessa stazione appaltante permetteva il ribasso.

 

Infatti, l’offerta in questione si è attenuta alle indicazioni della stazione appaltante sulle somme ribassabili, avendo operato il ribasso sulle c.d. voci accessorie e non sul compenso, mentre, la Stazione appaltante non ha dimostrato che questo ribasso intaccasse l’equo compenso.

 

Infine, è da rilevare che questo ribasso è stato presentato anche da altri concorrenti e che la stessa aggiudicataria ha presentato un ribasso del 99 %.

 

In conclusione, il ricorso deve essere accolto.

giurisprudenzappalti.it

 

Affidamento diretto e principio del risultato

Affidamento diretto e presupposti procedimentali anche alla luce del principio di risultato

Il ricorso all’affidamento diretto, di cui all’art. 50 del D.Lgs. 36/2023, non comporta l’obbligo all’effettuazione di preventive indagini di mercato e l’acquisizione di una pluralità di preventivi.

ANAC con la pubblicazione del Vademecum del 30.07.2024, ha ribadito la discrezionalità dell’operato dell’Amministrazione qualora adotti una procedura informale, quale l’affidamento diretto: la mera procedimentalizzazione dell’affidamento diretto, mediante l’acquisizione di una pluralità di preventivi e l’indicazione dei criteri per la selezione degli operatori, non trasforma l’affidamento diretto in una procedura di gara, né abilita i soggetti che non sono stati selezionati a contestare le valutazioni effettuate dall’amministrazione circa la rispondenza dei prodotti offerti alle proprie esigenze (indicazioni presenti anche nella giurisprudenza cfr. Consiglio di Stato, sez. V, n. 503 del 15.01.2024; Consiglio di Stato, sez. IV, n. 3287/2021).

La determina a contrarre (o atto equivalente) nel procedimento di affidamento diretto riveste indubbia centralità in quanto la medesima individua: l’oggetto, l’importo e il contraente, unitamente alle ragioni della sua scelta, i requisiti di carattere generale e, se necessari, quelli inerenti alla capacità economico, finanziaria e tecnico-professionale.

L’affidamento avviene con un unico atto dopo l’individuazione dell’affidatario ed al medesimo, come ha evidenziato ANAC nel citato documento, si applicano i principi generali di cui agli artt. da 1 a 11 del D.Lgs. 36/2023 ed in particolare i principi del risultato, della fiducia e dell’accesso al mercato.

Il MIT – Servizio contratti pubblici al quesito del 03.06.2024, ha ribadito che nelle scelte delle stazioni appaltanti è presente, in ogni caso, anche il divieto di aggravamento del procedimento sancito dall’art. 1, comma 2, della L. 241/1990, richiamata dall’art. 12 del D.Lgs. 36/2023.

Alla Stazione Appaltante è richiesta tempestività nel raggiungimento delle finalità assegnate: l’affidamento del contratto e della sua esecuzione deve quindi avvenire, in termini di risultato, con la massima tempestività e secondo il migliore rapporto possibile tra qualità e prezzo, nel rispetto dei principi di legalità, trasparenza e concorrenza.

Come dispone l’art. 1 del Dlgs. 36/2023 il principio del risultato “costituisce criterio prioritario per l’esercizio del potere discrezionale e per l’individuazione della regola del caso concreto”.

Il principio del risultato, quale finalità generale dell’Amministrazione,

costituisce così il criterio interpretativo a cui ricorrere per risolvere casi di contrasto tra il “dato formale” connesso all’applicazione del bando e il “dato sostanziale” della idoneità, ad esempio, delle partecipazioni dell’operatore economico. Il fine è di garantire, l’imparzialità della scelta, alla stregua dell’art. 97 Cost., ma anche il perseguimento, nel modo più adeguato ed efficace, dell’interesse primario, in attuazione del principio del buon andamento dell’amministrazione, di cui all’art. 97 Cost.

Il principio del risultato, tiene conto dell’obiettivo finale dell’azione amministrativa che si prefigge:

a) di giungere nel modo più rapido e corretto alla stipulazione del contratto (con riferimento alla fase di affidamento);

b) di perseguire il risultato economico di realizzare l’intervento pubblico nei tempi programmati e in modo tecnicamente perfetto (con riferimento alla fase di esecuzione).

La giurisprudenza, analizzando l’operato dell’Amministrazione rispetto al nuovo contesto, afferma la prevalenza per gli aspetti sostanziali, rispetto a quelli puramente formali, nell’ambito delle procedure, anche con riferimento all’affidamento diretto (ad es., Consiglio di Stato, sez. V, 20.07.2023, n. 7111; Consiglio Stato, sez. V 27.10.2022 n. 9249). Questo presuppone, secondo attuale giurisprudenza, che la presenza di meri errori formali non possa ostacolare la procedura, finalizzata alla selezione dei migliori candidati secondo il principio del buon andamento dell’attività della pubblica amministrazione (art. 97 Cost.). Diversamente ragionando, sarebbe leso l’interesse pubblico (Consiglio di Stato, sez. V, 22.11.2019 n. 7975).

Lo scopo, in ogni procedura, è quindi la cura dell’interesse pubblico che deve essere comunque “il più virtuoso e viene raggiunto selezionando gli operatori che dimostrino, fin dalle prime fasi della gara, diligenze e professionalità, quali espressione di una affidabilità che su di essi dovrà essere riposta al momento in cui, una volta aggiudicatari, eseguiranno il servizio oggetto di affidamento” (Consiglio di Stato sez. V. 25.09.2024 n. 7798). Ne è un esempio di questo la necessità di un riscontro sostanziale di effettività della cura degli interessi ambientali in sede di disciplina di gara e della insufficienza, invece, di un dato disciplinare meramente formale consistente, ad esempio, in un generico richiamo ai criteri ambientali che non corrisponde ad una definizione in termini di certezza del rapporto negoziale. Quanto espresso porta alla luce una nuova valutazione del giudice amministrativo di cui le Amministrazioni non potranno non tenerne conto: il principio di risultato concorre ad “ampliare il perimetro del sindacato giurisdizionale piuttosto che diminuirlo”, facendo rientrare nell’area della legittimità, opzioni e scelte che sinora si pensava riguardassero il merito e perciò insindacabili (Consiglio di Stato, sez. V, n. 3985/2024).

Quanto evidenziato dovrà essere considerato nella fase istruttoria e decisoria da parte dei funzionari e dirigenti coinvolti nella procedura di scelta del contraente.

sentenzeappalti.it

Criteri di interpretazione della lex specialis

Lex specialis: quali criteri di interpretazione ?

 

Il quesito trae origine a seguito di una gara pubblica, all’esito della quale una delle imprese escluse, ritenendo lesi i propri diritti, ricorreva al Giudice amministrativo al fine di ottenere l’annullamento del provvedimento di aggiudicazione; a tal fine, la ricorrente rappresentava nell’atto introduttivo del giudizio le molteplici violazioni alla normativa vigente, tra le quali la mancata valutazione dei titoli posseduti da una delle imprese consorziate che avrebbe dovuto eseguire una parte consistente dei lavori oggetto della gara. La questione esaminata, pur riguardando essenzialmente la facoltà per i concorrenti di potersi avvalere dell’operato di imprese consorziate nel corso dell’esecuzione dei lavori, ha richiesto una disamina delle clausole contenute nella disciplina di gara.

Dunque, quali sono le modalità di interpretazione della lex specialis?

Il Giudice Amministrativo conferma che l’attività ermeneutica deve essere effettuata sulla base delle disposizioni del Codice Civile ed in particolare sulla base delle modalità esegetiche individuate dagli articoli 1362 e 1363 Codice Civile previste per i contratti ma applicabili anche alle clausole contenute nella lex specialis.

Alla stregua del primo articolo le clausole previste nella lex specialis dovranno essere interpretate sulla base della comune interpretazione delle parti senza limitarsi al loro significato letterale. Mentre il secondo articolo citato prevede che le clausole debbano essere interpretate le une per mezzo delle altre. Si tratta dell’interpretazione cosiddetta sistematica tramite la quale il contenuto di una clausola costituirà lo strumento per l’interpretazione delle altre. L’interpretazione dovrà in ogni caso essere effettuata in maniera tale da garantire beni quali l’affidamento dei concorrenti e la parità del loro trattamento: principi, questi, che assumono una grande e prioritaria importanza nel corso di una gara pubblica e che pongono un limite all’attività interpretativa tanto da impedire nell’applicazione delle singole clausole di potersi discostare dal significato letterale delle espressioni linguistiche utilizzate che costituiscono il cardine fondamentale per la valutazione delle condotte delle parti coinvolte nella procedura di gara (in tal senso, TAR Roma, 17.10.2024 n. 18000).

 

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